martedì 19 maggio 2009

Indonesia: dangerously beautiful

Che viaggiare in Indonesia fosse facile lo sapevamo già prima di partire: bagaglio a mano, poche cose essenziali, un viaggio aereo interminabile e poi, finalmente, l'aria calda e umidiccia di Bali, prima tappa di un assaggio di Indonesia che non ha fatto altro che stimolare l'appetito a vederne ancora di più. L'Indonesia è un paese enorme con più di tremila isole e una popolazione di oltre 220 milioni di persone. Giovanna e io eravamo piuttosto provate dall’inverno e abbiamo deciso di fare un viaggio di tutto riposo. Abbiamo scelto delle isole facili, quelle che ci sembravano promettere oasi di riposo e tranquillità per il corpo e lo spirito. Ma volevamo anche vedere tre realtà diverse dell’Indonesia. Per questo abbiamo scelto Bali come base di lancio, un giardino fiorito e curatissimo, induista, che offre di tutto, dalle spiagge e i bar chiassosi di Kuta, allo spirito sereno, sorridente e pacato di Ubud (almeno se si sta alla larga dai posti troppo turistici). Poi il Sulawesi, o meglio la regione di Tana Toraja, cristiana ma fortemente legata ad antichi riti ancestrali che affondano le loro radici nel leggendario arrivo di popolazioni indocinesi su questa grande isola dalla singolare forma di K. Ne abbiamo visto solo un pezzetto; la prossima volta continueremo l’esplorazione. La terza tappa è stata l’isoletta di Gili Meno, poco al largo di Lombok, isola di religione musulmana che ci ha offerto uno scorcio diverso della straordinaria varietà dell’Indonesia. Poche impressioni indimenticabili di questo viaggio: La prima e la più forte è che in Indonesia bisogna tornare più volte. Ogni posto che abbiamo visto non ha fatto altro che scatenare la curiosità di vederne altri. Partendo da Makassar, la capitale dell’isola di Sulawesi, il mio pensiero ossessivo è stato che mi sarei dovuta fermare lì almeno un mese per vedere le coste del nord, famose per i fondali marini; il centro dell’isola per la foresta, le isole Togian…e molto altro. Lasciando Bali, per un lungo attimo ho desiderato di poter attraversare il breve stretto che la separa da Giava per andare a Yogyakarta, al Borobudur, a Giacarta, l’antica mitica Batavia di tante letture di storie di mare di secoli passati. Struggente la partenza da Gili Trawangan: mentre salivamo sulla “fast boat” per tornare a Bali ho visto salpare un catamarano diretto alle isole della Sonda, Sumba, Flores, Sumbawa, Rinca, Komodo…Papua…E poi il Kalimantan, il mitico Borneo indonesiano, un viaggio tutt’altro che facile che metto nella lista dei desideri. Questo per dirvi solo una piccola parte di quello che c’è da vedere e non abbiamo visto; non questa volta. La seconda: Bali è veramente la gemma che tutti descrivono. Uno smeraldo, una giada. Verde, verde di ogni sfumatura possibile di verde, così verde che alla fine di ogni giornata gli occhi si chiudono vedendo verde sereno. E poi templi, templi indù dappertutto, con vasche ornamentali, verdi, piene di enormi pesci, rossi. E piante tropicali, rosse, banane, risaie, cestini votivi davanti alle case, sulle auto, pieni di fiori e bastoncini di incenso. Non perdetevi Ubud: è un’ottima base per esplorare l’isola ed è lontana dal delirio di Kuta e non è isolata come Nusa Dua. Da non perdere a Bali: le rane, le risaie a terrazze, le passeggiate di notte attraverso la Monkey Forest di Ubud, il tempio di Thana Lot al tramonto, il bakso con le donne del mercato alimentare di Ubud (una zuppa piccante come il fuoco mangiata costata la bellezza di un dollaro e mezzo in due), la corte di giustizia a del regno di Klunkung (dove potete vedere anche una sorprendente mostra di opere di Emilio Ambron), il lago Beratan e il tempio di Bedugul, Penelokan: il monte e il vulcano Batur, il tempio di Bessakih e la benedizione indù con fiori e riso, le sorgenti termali di Banjar, le danze balinesi sbirciate dai cancelli dei palazzo reale di Ubud, il nasi goreng special del Warung Lokal vicino al Nirvana, una serata per le strade di Kuta, verso il mercato notturno, nei bassifondi dove i turisti non arrivano a frotte. Un posto fantastico per alloggiare: il Bali Spirt Hotel & Spa. La sorte ha voluto che a Bali tornassimo quattro volte nel giro di venti giorni; le nostre membra stanche hanno riposato anche tra le morbide lenzuola del Santika Bali prima di ripartire per l’Italia. E la rottura del nostro aereo da Denpasar a Hong Kong ha fatto sì che Cathay Pacific, dopo averci tenuto in ostaggio per tre ore dentro un jumbo con un motore rotto, ci offrisse una notte al Grand Hyatt Bali, un posto un po’ troppo addomesticato e anonimo per i nostri gusti, ma molto confortevole. La terza è il sacrificio rituale dei bufali nei funerali della regione di Tana Toraja del Sulawesi Selatan. Abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di essere ospiti di un funerale locale, grazie alla nostra guida locale, Ithos di Adventure Indonesia. I funerali sono cerimonie che richiedono una lunga preparazione, di mesi se non anni, durante i quali la salma del defunto è conservata in casa (i Toraja custodiscono formule segrete che consentono la lunga conservazione dei corpi) abbiamo assistito allo sgozzamento rituale del primo bufalo, che libera lo spirito del defunto senza emettere un suono mentre muore dissanguato, e allo squartamento di alcune decine di maiali – omaggio degli invitati che li donano alla famiglia del defunto e se ne nutrono per i tre giorni del rituale funerario. Abbiamo trascorso qualche ora con le donne che organizzano l’accoglienza degli invitati, ma ci si siamo risparmiate il rituale completo, che arriva a volte a comprender lo sgozzamento di 24 bufali. Uno a noi è bastato. Non scorderemo per il fantastico trekking nel fango, tra colline e risaie, da Londa a Lemu, sostando a riprendere fiato nelle case locali dai singolari tetti a barca, dove i bambini non sono tanto abituati a vedere gli occidentali e si mettono a ridere o a piangere a seconda dei casi. Così come non potremo dimenticare il mercato di Rantepao, dove tra le merci più preziose ci sono magnifici bufali rosa, bufali neri e migliaia di babi (maiali) pronti per i riti sacrificali dei funerali locali. La quarta è la spiaggia deserta di Gili Meno, il mare cristallino e il nasi goreng special dello Yaya Warung. Se ci andate in agosto, pare che l’isola trabocchi di gente e sia tutto fuori che tranquilla. Ai primi di maggio non c’era nessuno. Godetevela. È un’isoletta senza pretese, il mare è bello ma non indimenticabile, la gente è gentile ma abituata ai turisti. È un buon posto per strasene tranquilli per qualche giorno, mangiare bene spendendo pochissimo (allo Yaya Warung bastano poco più di 3 dollari per nasi goreng special e birra Bintang per due). Se volete dormire scomodi, in letti umidicci e pulciosi, con un bagno privo persino del lavandino, scegliete i bungalow del Malia’s Child (il proprietario australiano, che vive nel secondo dei sette bungalow, è moribondo: se volete investire denari, pare stia cercando un acquirente per il suo lucroso business): un po’ schifosi, però sono praticamente in spiaggia – ci si addormenta al suono delle onde e ci si sveglia con il sole che sorge davanti alla porta. Ci sono alloggi migliori e meno cari a poche centinaia di metri. Vedete voi. Per vedere un po' di foto clicca qui

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